
Nel
post di ieri trovate la soluzione dettagliata al quesito dei bambini (in gran parte risolto da Marco). Il nuovo quesito è invece il seguente:
Nuovo quesitoUna scacchiera ha i quadretti di due centimetri di lato.
Qual'è il raggio del cerchio più grande che può essere disegnato sulla scacchiera in modo che la circonferenza passi interamente sui quadretti neri ?
Ciò Detto, un lungo post.Ciò detto, segue un lungo post.
Sentitevi liberi di leggere oppure no, come è normale che sia.
Ma in questo caso sentitevi particolaremente liberi di non leggere perché quello che segue è un lungo, probabilmente lunghissimo, post di pensieri.
Ho iniziato a insegnare 3 anni fa (scuole: Pestalozzi, Dino Compagni, Masaccio, Granacci, Poliziano). Ho scelto volontariamente le medie perché credo che sia un momento importante per la formazione delle capacità di astrazione logico-matematiche. Alle elementari, il lavoro che fanno le maestre è fondamentale ma di carattere troppo basilare e pedagogico per il tipo di formazione che io ho. Alle superiori, per molti versi, le capacità di base dei ragazzi sono spesso già strutturate ed è difficile far piacere la matematica a qualcuno a cui non interessa.
Le medie mi sembravano essere il momento adatto in cui intervenire con le mie conoscenze e capacità per indirizzare i ragazzi verso maggiori capacità logico-matematiche.
L'ovvio svantaggio delle medie è che si tratta di scuola dell'obbligo per cui ci si trova ad affrontare anche casi difficili di ragazzi che fanno fatica con la scuola.
Dopo tre anni credo di poter dire che il lavoro dell'insegnante è davvero molto difficile, se non troppo difficile.
Credo di far bene il mio lavoro e di solito lo faccio anche con molto impegno.
Penso che se si fa una cosa valga sempre la pena di farla con impegno, per lo meno si impara qualcosa, non si ha niente da rimproverarsi e si riesce meglio a valutare il senso e la difficoltà di quello che si è fatto. Voglio dire, se una cosa la faccio male allora imparo poco ed alla fine non so dire se era difficile o se semplicemente non mi sono impegnato.
Quindi ho messo in questi tre anni grande impegno in quello che faccio a scuola.
Ho cercato in primo luogo di immaginare una scuola diversa da quella che viene comunemente proposta nella convizione che possa esistere qualcosa di meglio.
Nella convinzione che una scuola che si rifà ancora al 1800 non sia esattamente il modello adatto per dei ragazzi del 2000 che sono nati dopo la rivoluzione informatica.
Ma soprattutto nella convinzione che una scuola che si rifà ancora al 1800 non sia esattamente il modello di scuola umana che penso possa esistere.
E quando dico "scuola umana" penso ad una scuola il cui scopo è la crescita, lo sviluppo delle capacità, lo sviluppo della socialità, lo sviluppo degli interessi. Una scuola che risponde alla naturale gioia di vivere e di scoprire dei ragazzi. Ma forse sono troppo idealista e sognatore ...
In ogni caso sono convinto che la scuola dovrebbe funzionare in maniera diversa ed ho provato, e provo tutt'ora, a fare una scuola diversa.
Diversa significa diversa nei contenuti e diversa nelle modalità.
Diversa nei contenuti. Ho provato a metterci l'informatica (di cui sono esperto ed estremamente appassionato) o quantomeno l'uso dei computer. Ho provato a metterci attività materiali e discussioni incentrate sul capire piuttosto che sul memorizzare. Ho provato a metterci le gare di matematiche, i video al computer, le lezioni al computer, i video fatti in classe (specialmente nella scuola Granacci), questo stesso blog.
Diversa nelle modalità. La lavagna è un momento di crescita e non di sofferenza. Andare alla lavagna è divertente e non un momento di paura. Rapportarsi e dialogare con il docente e con gli altri è un momento di riflessione e non un momento di scontro e mera valutazione. Osservare gli altri ed imparare guardando quello che fanno è un momento importante che bisogna concedere a chi ne ha bisogno. Insomma: la realtà umana del docente e la realtà della classe dovrebbe permettere ed assecondare la crescita e non essere repressiva ed oppressiva.
Per farla breve: nel tentativo di imparare a fare meglio il mestiere dell'insegnante mi trovo costretto a fare molta sperimentazione. Provare strade, varianti, idee, possibilità ... le più disparate. Un po' come nell'evoluzione: più variabilità si ha a disposizione e più possibilità ci sono di adattarsi all'ambiente.
In questo caso l'ambiente siete voi ragazzi è lo scopo e la vostra crescita e comprensione di temi sempre più complessi.
Pensavo, ero convinto, che con le mie conoscenze tecniche (matematiche, informatiche, scientifiche) e con i miei interessi per gli aspetti pscicologici, pedagogici e didattici avrei fatto un po' meno fatica a trovare una strada nuova, diversa e funzionante nella scuola.
Invece, devo dire, che questa strada fa fatica ad emergere.
Le modalità diverse ed i contenuti diversi danno meno risultati di quanto avrei sperato.
Bisogna chiarirsi: i risultati ci sono e sono ottimi probabilmente.
Ma per quanto mi riguarda resto comunque insoddisfatto e triste per come vanno le cose.
Avrei pensato che fosse possibile stare bene in classe.
Avrei pensato che fosse possibile evitare i momenti caotici ed il caos mentale.
Avrei pensato che in un ambiente diverso e con un modo di fare diverso fosse possibile evitare i comportamenti un po' scemi ed i comportamenti distruttivi.
Invece così non è.I motivi sono vari.
Uno. I ragazzi mostrano in generale un grande malessere e lo riversano come e quando possono. In particolare lo riversano in classe e sugli insegnanti. Il malessere dei ragazzi è il malessere di una società che lascia molto poco spazio alla socialità, al fare insieme, al condividere, allo stare insieme. E' il malessere di una società molto individualistica in cui le immagini di riferimento sono le immagini vuote e piatte della tv o peggio ancora l'immagine del furbetto e del prepotente.
A questa carenza di socialità reale si lega anche l'uso generalizzato di Facebook che ricrea, in forma rivista e tecnologica, una spazio sociale.
Due. E' ben noto che durante l'adolescenza i ragazzi hanno l'esigenza di essere contestatari ed, a volte, scontrosi perché sono alla ricerca di una propria identità. Da questo punto di vista una scuola che vuole imporre delle identità preconfezionate viene, giustamente, vista come qualcosa da rifiutare.
Pur avendo chiari questi aspetti anche prima di iniziare a insegnare, continuavo a pensare che fosse possibile affrontarli in maniera sana. Sana per i ragazzi e sana per il docente.
Pensavo di rispondere al malessere derivante dalla carenza di socialità proponendo una immagine dello stare a scuola in cui ci si interessa più della crescita e della realtà interna piuttosto che semplicemente di interrogazioni e valutazioni.
Pensavo di rispondere al problema della scuola che diventa imposizione di identificazione, evitando di imporre identificazioni ma proponendo e stimolando ricerche di identità personali. Lasciando emergere ed assecondando gli interessi dei singoli
Probabilmente le idee ed i meccanismi funzionano più di quanto io stesso non creda. Ma.
Uno. Il malessere è molto grande e la voglia di essere caotici, e talvolta disfattisti e distruttivi, supera troppo spesso l'interesse per essere costruttivi anche quando se ne ha la possibilità.
Due. La ricerca dell'identità personale pone due grossi problemi.
Da un lato sembra necessario per molti ragazzi mettersi in contrasto per cercare la propria strada. E va bene, nulla di male.
Dall'altro molti ragazzi preferiscono, e questo è triste, una scuola che impone identificazioni preconfezionate. Una scuola che non obbliga a pensare, una scuola in cui il docente fa il suo ruolo di cane da guardia in modo che ogni ragazzo può fare il ruolo del furbetto.
Quest'ultimo aspetto è il più difficile da combattere ed eradicare. Non solo perché ha radici profonde nella mente dei ragazzi ma anche perché è l'immagine diffusa che gli adulti offrono del rapporto tra adulti e ragazzi ed alla quale i ragazzi finiscono per adeguarsi.
In questo la società ha una grossa colpa, peggiore di quella di offrire solo immagini banali e furbette, perché intacca la possibilità di una intesa e di una collaborazione tra adulti e ragazzi in cui i primi offrono quello che hanno da offrire ed i secondi raccolgono secondo i loro interessi e capacità.
E' una possibilità rifiutata dagli adulti e, di conseguenza, non ipotizzata dai ragazzi.
Il punto doloroso è vedere che anche nei casi in cui un docente (e non parlo solo di me, ammesso che io ci riesca) propone una immagine del genere, i ragazzi la rifiutano perché
pensano ormai che possa solo trattarsi di una truffa o di una fregatura.
Lavorare e lottare contro questa convinzione errata e falsa è durissimo e farei osservare che nell'accettare che non esistono possibilità diverse i ragazzi stanno accettando l'identificazione imposta dalla scuola e l'identificazione con un'idea non loro ma del mondo degli adulti (quella appunto che dice che non esistono altre possibilità).
Quindi da un lato sembrano cercare estrenuamente una loro identità unica che li separi dagli adulti. Dall'altro impongono e proiettano sulla realtà visioni tipicamente adulte che tolgono la possibilità di andare in direzioni nuove e di crescita maggiore.
Ci si trova a lottare contro un pensiero millenario che dice che i ragazzi sono caotici e che gli adulti devono solo reprimere questa tendenza al caos per imporre un'identità con la società civile e razionale.
Il problema è che i ragazzi fann0 enorme fatica ad accettare che non tutti gli insegnanti accettano e condividono questo pensiero millenario e ti buttano adosso l'immagine comune dell'insegnante repressivo.
Come uscire da questo impasse ?
E possibile remare contro pensieri cosi radicati nella nostra cultura ?
E soprattutto, vale la pena di fare tutto il lavoro che un insegnante fa ?
Porta a qualcosa ?
non so, mi ostino a pensare di si, ma le idee di chiunque voglia dire la sua possono essere utili.
guzman.
[Grazie Massimo per avermi spiegato la dinamica del buttare addosso allo sconosciuto (io in questo caso) immagini note (quella del docente che impone identificazioni)].